E la giornata si chiude così, con un abbraccio stretto.
“È da tanto che avrei voluto chiederti un abbraccio”.
I bambini non hanno bisogno di grandi parole per essere tranquillizzati, tantomeno per essere aiutati a gestire le loro emozioni.
È del tutto inutile dire che “il mostro dietro la tenda non esiste”.
Non saranno spiegazioni cognitive a rasserenare un cuoricino che batte all’impazzata per la paura.
Lo stesso è accaduto oggi a M., trent anni, in un momento molto doloroso nel quale ha ricontattato tutto il senso di rifiuto e di abbandono sperimentato da piccolo.
“Ho paura di entrare in questo dolore – mi ha detto – perché temo di non saperlo gestire”.
Eccolo, il suo bambino spaventato.
“Ti va se mi avvicino a te mentre piangi?”
“Ti va di darmi la mano?”
“Posso chiederti di abbracciarmi?”
Mi ha chiesto lui alla fine di questo graduale contatto.
Ecco il senso più profondo della terapia: ecco la riparazione del legame di attaccamento, quello originale stabilito con i nostri genitori, che condiziona le nostre relazioni adulte.
“Non ho paura, perché ho imparato a fidarmi di te”.
Solo chi sperimenta con un altro questa sensazione di soddisfazione e accoglienza dei propri bisogni e della propria emotività potrà costruire dentro di sé una parte accogliente, di supporto, attraverso cui affrontare la vita e le sue sfide, e sbloccare i nodi irrisolti del proprio passato.
Per staccarsi, ed essere autonomi, bisogna prima attaccarsi.